QUANDO IL CUORE HA BISOGNO DI …. CUORE! Gli aspetti psicologici nei problemi cardiaci

Le malattie cardiovascolari sono la causa più importante di mortalità, morbosità e invalidità nella popolazione italiana ed europea. Per gli eventi coronarici e l’infarto miocardico sono noti alcuni fattori di rischio che hanno un ruolo determinante: diabete, ipertensione arteriosa, dislipidemia (livelli alterati di colesterolo sanguigno), ma anche fumo, sedentarietà, alimentazione sregolata e sovrappeso.

Altrettanto determinanti nell’insorgenza di queste patologie sono alcuni fattori psicologici, come certi stati di stress cronico e livelli, anche lievi, di sintomi depressivi. In più, certi fattori psicoemotivi favoriscono proprio i suddetti comportamenti a rischio cardiovascolare e creano le condizioni per un altro problema importante, quello della mancata aderenza del paziente alle terapie e alle raccomandazioni sullo stile di vita indicate dai cardiologi. Molte ricerche documentano infatti che variazioni giornaliere dell’umore possono azionare o inibire il comportamento in modo determinante. Questo conferma come, abitudini quali fumare, rimanere sedentari o mangiare senza criterio, siano spesso messe in atto per ridurre velocemente la tensione da stress, per migliorare l’umore o semplicemente per sfuggire a sensazioni di disagio che possiamo provare nella vita di tutti i giorni. Purtroppo, dopo il momentaneo sollievo, queste abitudini hanno effetti deleteri sul nostro sistema cardiovascolare.

Quali misure preventive potrebbero incidere efficacemente a livello psicologico, sia direttamente sia sulle implicazioni comportamentali? Tanto per cominciare, non va mai trascurato il contributo importante che può essere offerto da programmi di educazione alla salute promossi dai presidii sanitari. Va però considerato che, per incidere sul piano psicologico, è necessario concedere alla persona almeno la possibilità di dar voce al proprio malessere in un contesto professionale appropriato: a questo proposito, si può constatare come nel nostro Paese la prevenzione primaria sia carente, specie quando ci si riferisce alla salute della persona vista nella totalità dei suoi aspetti.

Spostandoci sul versante della prevenzione secondaria (ovvero cosa si può fare dopo un evento cardiaco), è emblematico il caso dei pazienti reduci da una sindrome coronarica acuta (con o senza esito infartuale) e relativo intervento di angioplastica. Questi pazienti presentano quasi sempre una situazione complessa: (1) sono turbati da quanto è loro accaduto e si sentono emotivamente destabilizzati. Dopo la permanenza in ospedale, molti riferiscono di sentirsi abbandonati al momento della dimissione e di trovare difficile il rientro nella quotidianità. (2) Devono rimodellare la propria esistenza entro nuovi limiti e per questo hanno un senso di disorientamento. (3) Sono “obbligati” a cambiare stile vita e ad aderire alla terapia farmacologica, quanto meno per non incorrere in recidive della malattia.

Una nostra ricerca svolta con due gruppi di questi pazienti, nell’Unità di cardiologia di un ospedale fiorentino, ha indagato gli effetti di un intervento psicologico effettuato nel contesto della prima visita cardiologica di controllo, a un mese dall’evento cardiaco. L’intervento dello psicologo ha dato innanzi tutto la possibilità al paziente di esprimere il proprio vissuto, attenuandone il disagio: dare parola all’emozione, elaborando il senso di esperienze critiche come l’evento cardiaco, ha un naturale effetto terapeutico che giova anche al sistema cardiocircolatorio. I colloqui psicologici erano orientati anche a un maggior contatto della persona con i propri bisogni fondamentali, nel “quì ed ora” dell’esperienza. Questo ha permesso di sviluppare una reale motivazione a cambiare il proprio stile di vita, aderendo a sane abitudini quotidiane e costruendo nuovi significati esistenziali. Gli esiti finali sono favorevoli per i pazienti che hanno beneficiato dell’intervento psicologico: essi incrementano l’esercizio fisico quotidiano, passano a dieta e consumo alcolico ottimali, diminuiscono di peso, si astengono dal fumo e ottengono inoltre risultati migliori su alcuni parametri di benessere psicofisico, differenziandosi significativamente dai pazienti che hanno ricevuto solo la usuale visita cardiologica.

Questi esiti mostrano come una funzione dello psicologo sia quella di strumento che viene utilizzato dal paziente per entrare in pieno contatto col proprio mondo interno, mobilizzando risorse personali che spesso neanche sa di avere e che permettono di attraversare momenti critici importanti, generando nuove possibilità per la propria vita. La professionalità dello psicologo ben si integra con quella del medico perché può incidere efficacemente nei processi di cura proprio dove il “curare” si deve necessariamente intrecciare col “prendersi cura” di una persona nella sua unicità e con i suoi bisogni.

“Sentire un tuffo al cuore”, “metterci il cuore”, “dedicarsi con tutto il cuore”, “morire di crepacuore”, …. se pensiamo alle numerose metafore sul “cuore” che utilizziamo ogni giorno, ci rendiamo conto di come il cuore sia il centro pulsante della nostra vita affettiva ed emotiva che connota di significato le nostre esperienze. Al tempo stesso, se stiamo, anche per un momento, in maggior contatto con le emozioni che viviamo, possiamo sperimentare che queste metafore sono molto “concrete”: il nostro cuore merita sicuramente più attenzione!

Dott. Stefano Rossi

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